CACCIA DI SELEZIONE
calibri per arma e loro caratteristiche
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La prima "arma a fuoco" di cui si abbia conoscenza in Europa, nacque dopo il 500 ed era denominata “candela romana” (termine che oggi indica un tipo di fuoco d'artificio), mentre altrove “fuoco greco”. Si basava su un grosso vaso in cui veniva versata della polvere pirica. Successivamente, su questa veniva posato un proiettile composto di stracci imbevuti di oli incendiabili. I soldati davano fuoco al proiettile e questo incendiava la carica sottostante che lo “sparava” oltre le mura delle città, appiccando il fuoco sui tetti delle case. Da menzionare che "fuoco greco" era chiamato anche un composto di cui non è conosciuta esattamente la composizione, se non il fatto di essere presumibilmente a base di bitume, che veniva usato come materiale incendiario in campo navale lanciato da catapulte imbarcate sulle galee da guerra, vista la sua capacità di non spegnersi a contatto con l'acqua (presumibilmente per la presenza di calce viva nel composto).
L'inizio della storia delle armi da fuoco è comunque legata alla scoperta della polvere da sparo, già conosciuta dai cinesi a partire dal IX secolo: già il secolo dopo era di uso comune in Cina l'utilizzo di razzi a scopo militare ed a partire dal XIII secolo si ha menzione dell'uso dei primi cannoni (vedi: uso bellico della polvere da sparo).
In Europa, solo dopo il 1200 si riuscì finalmente ad ottenere la formula ancor oggi usata per la fabbricazione della polvere nera che fu usata fino agli anni trenta del XX secolo: già nel 1331 le cronache menzionano la comparsa dei primi cannoni in Europa a Cividale del Friuli, seguiti dalle prime armi portatili (in questo caso lo "schioppo") nel 1364 (cronache di Perugia). Oggi nei bossoli delle munizioni utilizzate nelle armi da fuoco moderne, non si usa più polvere nera ma polvere senza fumo, un composto esplosivo a base di nitrocellulosa.
Per le prime armi da fuoco Europee nel XIV secolo, l'accensione della carica di polvere avveniva attraverso un foro (chiamato "focone") alla base chiusa della canna con un "fiammifero", poi con una miccia, quindi seguì una evoluzione che portò ad utilizzare una miccia riutilizzabile la cui parte "accesa", anziché infilarsi direttamente nel focone, si appoggiava su uno scodellino, ricavato a fianco del focone stesso, che veniva chiamato "bacinetto" o "scodellino" e sul quale era posta una piccola parte di polvere da sparo. Successivamente si utilizzo' una pietra focaia che, provocando scintille, accendeva la polvere posta all'interno del bacinetto (acciarino a pietra) e quindi l'uso di piccole capsule che infiammavano la polvere della carica propellente vera e propria quando venivano percosse dal cane che vi si abbatteva premendo il grilletto: le caspule erano poste su di un cilindretto cavo collegato al focone (il luminello).
Tutti questi sistemi riguardavano armi che si caricavano dalla bocca della canna, inserendo prima la polvere di lancio, poi un disco di feltro o cartoncino detto "borra" (ancora oggi presente nelle munizioni per fucili a canna liscia) ed infine la pallottola (inizialmente in pietra e quasi subito sostituita da una palla in piombo) che veniva avvolta per i 3/4 da uno straccetto per evitare che i gas generati dall'esplosione della polvere fluissero davanti alla palla da lanciare, dato che esisteva un discreto spazio tra il diametro esterno della palla ed il diametro interno della canna entro la quale scorreva la palla stessa, per via delle tolleranze di lavorazione enormi a quel tempo. Si premeva poi il tutto con una bacchetta in dotazione (queste erano infatti armi ad avancarica, esattamente come i primi cannoni usati sui campi di battaglia terrestri e sulle navi a vela).
Successivamente viene creata la "cartuccia" consistente appunto in un cartoccio di carta nitrata contenente la polvere da sparo, la borra e la pallottola o proietto. Bastava strappare con i denti la parte inferiore della cartuccia ed infilarla nella canna, con una sola operazione e con cariche di polvere più costanti. Una curiosità: nel passato i soldati erano riformati se mancanti degli incisivi, ciò derivava dall'impossibilità dei soldati stessi di strappare la cartuccia, legge mantenuta anche dopo l'avvento delle armi a retrocarica, addirittura sino alla I Guerra Mondiale. Uno dei pericoli maggiori consisteva (e consiste tutt'oggi nelle moderne armi ad avancarica) nel forzare troppo con la bacchetta la palla nel momento in cui si avverte una resistenza della stessa, pur non essendo arrivata nel punto previsto; può succedere infatti che nello spazio tra polvere e palla si formi una bolla d'aria che a causa della pezzuola non fuoriesce. Due o tre colpi ben assestati con la bacchetta sono sufficienti a comprimere l'aria a pressioni molto elevate che possono causare il cosiddetto effetto Diesel cioè surriscaldano l'aria a tal punto da far esplodere la polvere, con effetti ben immaginabili per chi sta caricando l'arma.Il fatto di doverle caricare dalla bocca, rendeva le prime armi da fuoco estremamente lente nel reiterare l'azione di fuoco in quanto i tempi di ricarica erano lunghi e dipendenti dall'addestramento di chi la eseguiva. Inoltre erano frequenti i malfunzionamenti dovuti alla mancata accensione della polvere da sparo che fungeva da carica di lancio: era sufficiente che la polvere si impregnasse di umidità (cosa frequente sul campo di battaglia) per ottenere le cosiddette "cilecche". Per superare il primo problema e quindi avere la possibilità di sparare rapidamente più colpi in successione, vennero costruite armi a canna multipla (cosa che venne studiata già da Leonardo da Vinci verso il 1500) che però erano limitate generalmente a due/tre canne (massimo quattro per alcune realizzazioni) per questioni legate alla portatilità, visto che ogni canna in più rappresentava un discreto peso aggiuntivo. Per questo motivo, le armi ad avancarica multicanna di antica data erano soprattutto pistole: le canne più corte erano più leggere, oltre ad essere armi destinate ad un utilizzo a distanze brevi o brevissime, dove la possibilità di sparare più colpi verso bersagli multipli a distanze pericolosamente brevi, poteva rappresentare la differenza tra la propria vita e la propria morte.Armi a canne multiple, rimasero comunque realizzazioni abbastanza rare, spesso confinate a realizzazioni non portatili (come il "ribauldequin", una sorta di piccolo pezzo d'artiglieria multicanna).Il primo vero passo per ottenere vere armi a ripetizione fu quello dell'invenzione del "revolver" ad opera di Samuel Colt in base ad un suo brevetto del 1835: si trattava dell'utilizzo del "tamburo", una sorta di cilindro con più "camere di scoppio", ognuna delle quali destinata ad accogliere una carica completa di proiettile che veniva sparato quando la camera era allineata con l'asse della canna (che invece era singola): l'allineamento avveniva ogniqualvolta si arretrava il "cane", mentre lo sparo avveniva quando si premeva il "grilletto", che liberava il cane stesso che quindi si abbatteva percuotendo le capsule al fulminato di mercurio che erano poste sulla circonferenza posteriore del tamburo e che, a loro volta, innescavano la carica di lancio contenuta nella corrispondente camera sottostante. Con questo tipo di armi, si rimaneva nell'ambito delle armi ad avancarica (ogni colpo era caricato singolarmente inserendo i vari componenti anteriormente in ogni camera del tamburo), ma si era entrati in una nuova era: quello delle armi a ripetizione monocanna.In seguito, con il passaggio alle armi a retrocarica e l'adozione generalizzata della cartuccia, si ebbe un ulteriore sviluppo con l'adozione del sistema di accensione "a percussore lanciato" reso possibile dalla nascita della cartuccia stessa, con l'involucro che ben presto divenne il bossolo metallico come lo conosciamo oggi. Tra i primi esempi di tali armi, si può ricordare il fucile "Chassepot" con percussore ad ago e cartucce di carta con l'innesco situato direttamente a contatto della parte posteriore della palla. Oggi, la carica, l'innesco e il proiettile sono tutti contenuti in un bossolo (generalmente d'ottone, ma può essere anche di plastica o cartone con fondello metallico) e l'insieme costituisce la cartuccia, mentre l'arma provvede (dopo essere stata caricata ed avendo alloggiata una munizione nella "camera di cartuccia" all'interno della canna) a percuotere l'innesco tramite un percussore (a sua volta azionato o meno da un "cane"), che vi si abbatte sopra come un martello.Il fatto che l'intera munizione fosse diventato un unico oggetto, ha permesso anche lo sviluppo di sistemi di alimentazione, di scatto e di gestione della ripetizione del colpo che hanno portato a produrre armi da fuoco automatiche con cadenze di tiro di parecchie centinaia di colpi al minuto: una mitragliatrice da fanteria di questo tipo è l'M60americano. Le armi automatiche con maggiore cadenza di tiro attualmente discendono dal cannone General Electric Vulcan da 20 mm americano (anni cinquanta) che a sua volta riprende l'idea mutuata dalla mitragliatrice inventata dall'americano Gatling nel 1861 e sono munite di un affusto con più canne rotanti: ad esempio, l'arma principale dell'aereo anticarro A-10 Thunderbolt II è un cannoncino a 7 canne rotanti in grado di sparare 4000 colpi (esplosivi o perforanti in uranio impoverito) da 30 mm al minuto.